Non
posso rimandare al sito perchè questa è una newsletter , la copio per
intero per identificare la fonte. La invio perchè contesta "false
notizie
". Niente di nuovo , ma repetita iuvant .
Chi
sostiene l'uscita dell'Italia dall'euro lo fa affermando che ce ne
verrebbero due vantaggi: la possibilità di svalutare la moneta,
e dunque rendere le nostre esportazioni più competitive; il sottrarsi
alle regole europee sul bilancio pubblico, e dunque la possibilità di
abbandonare la cosiddetta austerity.
Si tratta in entrambi i casi di vantaggi impossibili.
In
base al trattati, un Paese che ha aderito alla moneta unica non può
uscirne senza attivare l'art. 50, cioè senza uscire dall'Unione.
Questo vorrebbe dire uscire dal mercato unico. Avremmo una nuova lira, o
come altro la vorremo chiamare, che immediatamente si svaluterebbe
rispetto alle altre monete, euro compreso. Ma le imprese non ne
trarrebbero grandi benefici, perché contestualmente
perderemmo l'accesso al mercato unico europeo, verso il quale sono
dirette gran parte delle nostre esportazioni.
Dall'altro
lato non potremmo fare a meno di continuare a comprare all'estero, al
di fuori dell'Unione, tutte le materie prime che ci
sono essenziali - pensiamo solo a gas e petrolio. La svalutazione
farebbe aumentare il costo di queste importazioni non sostituibili. La
nostra bilancia conmerciale peggiorerebbe, non migliorerebbe. E i prezzi
interni aumenterebbero velocemente, riducendo
il potere di acquisto di tutti coloro che vivono del proprio salario.
Fuori
dall'Unione non saremmo tenuti a rispettare le regole imposte al
bilancio pubblico dal patto di stabilità e crescita. In astratto,
potremmo dimenticarci il famoso limite del 3% al deficit pubblico e
ogni percorso di rientro dal debito. Qualcuno di noi fa fatica a
considerare il debito pubblico una panacea. Altri potrebbero ricordare
che ci toccherebbe modificare in tutta fretta la Costituzione,
nella quale abbiamo inserito un seppur debole vincolo all'equilibrio di
bilancio.
Ma
lasciamo perdere questi dettagli. La verità è che neanche fuori
dall'Unione potremmo in realtà consentirci maggior deficit e maggior
debito. La nuova lira tenderebbe a svalutarsi; i prezzi interni a
salire. La BCE non acquisterebbe più il nostro debito. Per convincere i
privati, italiani e stranieri, a comprare i titoli di Stato italiani,
dovremmo pagare tassi di interesse molto più alti
di oggi. E i potenziali acquirenti non si fiderebbero affatto di un
paese che aggiunge ulteriore debito al gigantesco peso da cui è già
gravato. Per trovare qualcuno disposto a comprare i nostri titoli, o a
rinnovare quelli che detiene, dovremmo porre in atto
paradossalmente politiche più e non meno "austere" di quelle di oggi.
È
lecito che ciascuno abbia le proprie opinioni. Ma perché si possano
fare scelte consapevoli, bisogna riflettere sulle loro potenziali
conseguenze. L'uscita dall'euro non darebbe ossigeno alle imprese
esportatrici; aumenterebbe il costo delle importazioni, e quindi
l'inflazione interna. E il bilancio pubblico non potrebbe fornire alcun
sollievo, gravato da una massa velocemente crescente
di pagamenti per interessi sul debito. A meno che non si pensi di non
onorare il debito. Il che comporterebbe - fra l'altro - il più
gigantesco esproprio dei risparmi degli italiani che si ricordi. Almeno
200 volte il famigerato prelievo notturno sui depositi
bancari del governo Amato del 1992. Se questa è la proposta, si abbia
il coraggio di renderla esplicita.
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