E
alla fine arrivò, per il Movimento Cinque Stelle, anche la benedizione
vescovile. Dopo aver fatto fronte comune sulle aperture (o, meglio,
chiusure) domenicali, il direttore di Avvenire ha spiegato, in un'intervista col Corriere della sera,
che fra cattolici e penta stellati c'è convergenza addirittura sui "tre
quarti dei grandi temi", lasciando alla libera immaginazione dei
lettori il dubbio su quali: l'uscita dall'euro? il reddito di
cittadinanza? i vaccini?
Trascuriamo
ogni considerazione di carattere astratto sulla legittimità
dell'intervento della Chiesa in queste faccende. La Conferenza
episcopale è, in Italia, non da oggi un attore politico: questioni di
fede a parte, ha accesso a un regime tributario privilegiato e a una
certa quota di risorse pubbliche tramite l'otto per mille che, come
chiunque altro, tiene a preservare. Ciò che stupisce, però, è la materia
sulla quale i vescovi sono scesi in campo. In un Paese cattolico nel
quale i praticanti ormai sono all'incirca un terzo della popolazione, la
Chiesa avrebbe ben altri problemi, che l'apertura dei centri
commerciali la domenica. La quale è del tutto compatibile, sia per chi
li frequenta sia per chi ci lavora, con la Santa Messa: che è da sempre
prevista in orari diversi, proprio per venire incontro alle esigenze
delle famiglie.
Siccome
i vescovi lo comprendono prima e meglio di noi, è bene cercare una
spiegazione diversa. Non è la battaglia che crea un'occasione di
convergenza coi Cinque stelle, semmai è vero il contrario, la battaglia è
il pretesto, l'occasione per allinearsi con un partito che potrebbe,
domani, governare il Paese.
Pare strano che quella convergenza sia cercata e coltivata da un movimento la cui base più solida, secondo i sondaggi, sono i giovani che non sono nemmeno più andati al catechismo. Pare ugualmente strano che un'istituzione attentissima alle ragioni della stabilità come la Chiesa scommetta sui gianburrasca della politica.
Pare strano che quella convergenza sia cercata e coltivata da un movimento la cui base più solida, secondo i sondaggi, sono i giovani che non sono nemmeno più andati al catechismo. Pare ugualmente strano che un'istituzione attentissima alle ragioni della stabilità come la Chiesa scommetta sui gianburrasca della politica.
Per
nulla strano, invece, ma come sempre deprimente, è che questioni che
hanno a che fare con la libertà di scegliere non siano che pretesti. Se
ai vescovi interessasse davvero provare a parlare col popolo degli
outlet, non immaginerebbero di chiuderli la domenica, confidando che le
stesse persone vadano a messa anziché stare a casa a vedere la TV.
Parlerebbero, come hanno sempre fatto, con gli esercenti. Chiederebbero
di modulare i turni. Magari cercherebbero persino di guadagnarsi spazi
lì, in quelle piazze laiche dove le persone la domenica vanno perché ci
desiderano andare.
Se
ai sindacati da sempre e da ieri vicini alla Cei davvero interessasse
la condizione dei lavoratori, anziché lanciare una fatwa farebbero il
loro mestiere: negoziare. Per alzare le paghe di chi lavora la domenica.
Per chiedere nuove assunzioni. Per chiedere che gli orari non siano
spezzati, costringendo i lavoratori a stare fuori casa molte più ore
rispetto a quelle di lavoro effettivo.
Invece,
l'unica cosa che conta di una battaglia, in Italia, è come sempre il
valore simbolico. Che in questo caso coincide col piacere di portarsi
avanti, baciando la pantofola al prossimo principe.
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